Realtà e finzione, mito e storia nella cultura occidentale. Dalle origini ai giorni nostri

Questo pensiero, e più in generale la tradizione letteraria alla quale appartengono molti testi della classicità greco-romana tra il VI sec. a.C. e il V sec. d. C., nasce prima di tutto dall’esigenza di porsi domande e di suggerire soluzioni che, senza dimenticare la prospettiva mitologica e magico-religiosa, abbiano una forte struttura razionale. Aristotele, che Dante chiama il maestro di color che sanno, contribuisce ad affermare questa distinzione: “anche chi ha propensione per le leggende è, in un certo qual modo, filosofo giacché il mito è un insieme di cose meravigliose”. Negli ultimi secoli la considerazione del mito come finzione in contrapposizione al logos come discorso vero è diventata meno convincente. La tensione mythos/logos, così diffusa in passato, si è arricchita di nuove prospettive che si richiamano direttamente all’esperienza artistica e letteraria: con i miti, suggerisce Italo Calvino, “non bisogna aver fretta; è meglio lasciarli depositare nella memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio, ragionarci sopra senza uscire dal loro linguaggio di immagini” (Lezioni Americane). A partire dall’opera La nascita della tragedia di Nietzsche, secondo il filosofo Sergio Givone, il mito è collocato “nel vortice di un pensiero enigmatico” e “non ha luogo se non in una specifica forma d’arte”. Ed è proprio attraverso l’arte, per esempio nella prospettiva del Surrealismo, che torna ad esprimersi nuovamente il rapporto tra realtà e illusione: “uno studioso al microscopio vede molto più di noi. Ma c’è un momento, un punto, in cui anch’egli deve fermarsi. Ebbene, è a quel punto che per me comincia la poesia”. Ceci ce n’est pas une pipe. (René Magritte).

 

Storia dell’arte

La mitologia ha sempre affascinato generazioni di artisti dall’antichità fino ai giorni nostri; ci sono stati momenti nell’evoluzione del linguaggio figurativo, come il Rinascimento, in cui il mito è diventato uno strumento efficace di cui l’artista si è servito per raccontare la storia del suo tempo. Il corso di quest’anno affronterà la riscoperta di alcuni miti e divinità classiche, come la favola di Amore e Psiche o il Ratto di Proserpina che furono reinterpretati a partire da artisti quali Raffaello, Giulio Romano, Canova fino ad arrivare alle performance provocatorie di Gina Pane. Il mito è racconto, ma nell’arte del Novecento diventa anche illusione, finzione, creando così un nuovo legame con la realtà rappresentata: questo tema verrà analizzato prendendo in considerazione alcune avanguardie storiche come la Metafisica o il Surrealismo in cui il rapporto con la filosofia è particolarmente stretto. Ci sono infatti pittori come De Chirico e Magritte che sono fortemente influenzati dal pensiero di Nietzsche e Schopenahuer a tal punto da cercare nelle proprie opere di andare oltre quel “velo di Maya” per smascherare la realtà e coglierne l’essenza invisibile. “Le cose visibili possono essere invisibili. Se qualcuno va a cavallo nel bosco, prima lo si vede, poi no, ma si sa che c’è: il nostro pensiero comprende tutte e due, il visibile e l’invisibile. E io utilizzo la pittura per rendere il pensiero visibile.” (René Magritte)

 

Filosofia e Storia

La domanda sulla distinzione tra realtà e finzione, e più in generale la tensione fra mito e logos, rimanda fin dall’antichità al problema dello scetticismo: questa filosofia, in un certo senso, seguendo le parole del sofista Gorgia, afferma che la realtà è inconoscibile, e se anche qualcuno fosse in grado di conoscerla, non riuscirebbe comunque a comprenderla. La riflessione di Gorgia offre una ulteriore prospettiva: se vi fosse qualcuno in grado di conoscerla e di comprenderla, egli non sarebbe in ogni caso capace di comunicarla agli altri, rendendo di fatto la sua conoscenza inutile. Lo scetticismo come visione filosofica (e non come semplice enunciazione di dubbi) accompagna la storia del pensiero dell’uomo e giunge fino ai nostri giorni. Filosofi come Nietzsche e Schopenhauer hanno condiviso alcune proposte per riconoscere l’illusione (il velo di Maya) e salvare la realtà mentre altri, come Immanuel Kant, hanno negato la possibilità di conoscere la realtà con assoluta certezza: possiamo avere conoscenza solo dei fenomeni, che sono le rappresentazioni di qualcosa di più profondo (noumeno), di per sé irraggiungibile. Quale è, se esiste, la strada per liberarsi dall’apparenza e guardare la verità delle cose?

 

Letteratura

Il rapporto fra realtà e finzione attraversa e informa di sé la letteratura di ogni tempo. Dall’antichità scrittori e poeti si sono interrogati sul rapporto fra ciò che è realmente accaduto e ciò che invece è inventato. Diverse le epoche storiche in cui questo tema è stato al centro del dibattito culturale e della produzione di grandi autori. Dall’antichità in cui, un paio di secolo dopo i poemi omerici, i primi storiografi e i primi poeti lirici (Senofonte, Archiloco, Saffo) si chiedono quale valore di realtà dare al racconto mitico, passando attraverso il Medioevo in cui il mito (non più solo classico) permea i racconti come l’arte figurativa, fino all’Età Moderna e al Barocco in cui realtà e finzione si sovrappongono e si intrecciano in modo indistricabile tanto che l’intellettuale spagnolo Pedro Calderón de la Barca può affermare nel suo più celebre lavoro che la vida es sueño (la vita è sogno). Nell’Ottocento poi, si apre un’altra grande stagione che si è approfondita nel secolo successivo: come si fa a raccontare la storia? È sufficiente parlare dei grandi personaggi o bisogna parlare anche della “storia del popolo”? E come fare visto che quest’ultima non è documentata? Può un racconto inventato narrare la storia? si chiede, ad esempio, Manzoni al momento in cui si accinge a scrivere I promessi sposi. Il Novecento arricchisce di una nuova prospettiva il dibattito letterario sul rapporto fra realtà e finzione, rivolgendo l’osservazione alla vita del singolo. In particolare, in Italia, Luigi Pirandello ha lavorato tutta la vita sul dramma del rapporto fra ciò che è, ciò che appare di sé all’individuo e ciò che appare agli altri, narrandolo nei suoi racconti, nei suoi romanzi e soprattutto nelle opere teatrali, nelle quali scardina le regole canoniche del genere per poter meglio significare il suo messaggio dirompente.

 

Inglese

Realtà e finzione nell’opera shakespeariana “Sogno di una notte di mezza estate”.

Nel “Sogno di una notte di mezza estate” il binomio realtà-finzione prende la forma del teatro nel teatro, mediante una serie di equivoci e malintesi, di un re e una regina litigiosi, di folletti dispettosi e creature magiche. E’ un vero e proprio teorema sull’amore ma anche sul nonsenso della vita degli uomini che si rincorrono e che si affannano per amarsi, che si innamorano e si desiderano senza spiegazioni. Il tutto evidenzia la verità più profonda della vita.

Questa commedia, scritta probabilmente tra il 1595 e il 1596, é certamente una delle più popolari, nonché quella più difficile da comprendere; è anche la più originale, tanto che non vi è un’opera simile in tutta la produzione shakespeariana.

  • Act 1, Scene 1

The course of true love never did run smooth (il corso di un amor sincero non si è mai svolto in modo liscio)

  • Act 3, Scene 1

What angel wakes me from my flowery bed? (quale angelo mi risveglia dal mio letto di fiori?)

  • Act 3, Scene 2

Lord, what fools these mortals be! (Signore, quanto sono sciocchi questi mortali!)

Nell’ambito del Patto di amicizia con l’associazione francese Art’Hist è stata organizzato un viaggio in Francia (Avignone, Mont Ventoux, Fontaine de Vaucluse) che ha visto la partecipazione di 21 italiani, provenienti da Lastra a Signa, Scandicci e Poggio a Caiano, e 18 francesi, provenienti dalla Val du Cher, vicino ai Castelli della Loira.

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